5 Maggio 2020
E’ notizia di questi giorni l’introduzione di azioni giudiziarie negli Stati Uniti, in Europa, in India ecc.. contro la Cina, il Partito Comunista Cinese, il Ministero della Sanità e le Autorità di Wuhan per la responsabilità sulla mancata adozione del …
E’ notizia di questi giorni l’introduzione di azioni giudiziarie negli Stati Uniti, in Europa, in India ecc.. contro la Cina, il Partito Comunista Cinese, il Ministero della Sanità e le Autorità di Wuhan per la responsabilità sulla mancata adozione delle misure di contenimento e ritardata comunicazione sul Covid -19, come previsto dal regolamento sanitario internazionale che richiede l’immediata informativa all’OMS degli eventi che possono rappresentare un’emergenza sanità pubblica di rilievo internazionale, e per richiedere la condanna al pagamento dei danni causati dalla pandemia per la perdita di vite umane e per le gravissime conseguenze sul piano economico.
Una domanda evidentemente si pone: in base al diritto internazionale tali azioni sono legittimamente esperibili?
In materia può essere utile un breve riepilogo dei principi internazionali e della loro applicazione nell’ordinamento giuridico italiano.
La Convenzione Internazionale di New York delle Nazioni Unite del 2004, che ha recepito le consuetudini a livello internazionale in materia, prevede il principio dell’immunità dello Stato rispetto alla giurisdizione dei giudici degli altri Stati: in concreto, vige la regola in forza della quale un giudice di un paese non ha giurisdizione contro uno stato straniero.
Tale Convenzione, non ancora pienamente efficace in quanto non sottoscritta da un numero minimo di paesi, prevede due tipologie di immunità:
– assoluta per gli atti compiuti dallo Stato jure imperii, ovvero nell’esercizio delle proprie funzioni di governo, si esclude, in questo caso, ogni possibilità di azione contro lo Stato;
– relativa per gli atti c.d. jure privatorum, ovvero quando lo Stato agisce come un privato, ad es. nei settori dell’economia, nelle transazioni commerciali ecc…, in questo caso è esperibile l’azione risarcitoria contro quel Paese che abbia posto in essere atti o comportamenti pregiudizievoli rispetto ad altri Stati o a cittadini stranieri.
Tenuto conto della natura e tipologia delle azioni adottate o omesse dalla Cina in relazione alla diffusione del nuovo coronavirus, il comportamento in contestazione è riconducibile nell’alveo dello jure imperii, afferendo alle funzioni di governo.
Ricorrendo, in questo caso una ipotesi di immunità assoluta, in base al diritto internazionale non si potrebbe agire giudizialmente nei confronti della Cina, né contro gli organi o articolazioni istituzionali cinesi; quindi, il giudice interno investito di tali giudizi, non avrebbe la giurisdizione di giudicare un paese straniero. Se questo è il principio generale, tuttavia va fatta salva l’ipotesi in cui lo Stato straniero accetti di sottoporsi alla giurisdizione del giudice di un altro paese.
Diversamente, nell’ipotesi in cui fosse accertato che la diffusione del virus sia conseguenza di sperimentazioni a carattere commerciale svolte presso laboratori cinesi, ricorrerebbe la richiamata ipotesi di immunità relativa e, quindi, secondo il diritto internazionale sarebbero esperibili le azione giudiziarie nei confronti della Cina o di altri enti o società responsabili dei fatti.
Il principio sull’immunità assoluta degli stati in materia di giurisdizione è stato confermato dalla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja (chiamata a risolvere i conflitti tra Stati aderenti all’ONU), con la Sentenza del 3 febbraio del 2012 con cui veniva definita la controversia introdotta dalla Germania contro l’Italia e avente ad oggetto la richiesta di condanna del nostro paese per violazione del richiamato principio di immunità assoluta, avendo alcuni tribunali italiani dichiarato la loro giurisdizione a decidere su cause introdotte dai congiunti di vittime dei crimini di guerra compiuti in Italia durante la seconda guerra mondiale da parte della Germania e condannato quest’ultima al risarcimento dei danni.
La Corte Internazionale dell’Aja, in accoglimento del ricorso della Germania, condannava l’Italia per violazione del riferito principio di immunità assoluta, confermando che uno Stato non può essere giudicato da un giudice di un paese straniero se gli atti dallo stesso compiuti sono riconducibili nell’ambito delle sue funzioni sovrane, prescindendo da ogni valutazione di merito ovvero dalla gravità delle azioni od omissioni compiute.
Ne consegue che, secondo il diritto internazionale, per i crimini di guerra o contro l’umanità si possa agire giudizialmente dinanzi alla Corte Penale Internazionale solo nei confronti dei singoli che abbiano commesso gli illeciti anche se in rappresentanza di un Paese (es. Capi di stato, Responsabili del governo ecc..) o in esecuzione degli ordini degli organi di governo (es. militari), ma non nei confronti del Paese rappresentato dagli stessi, ancorchè mandante degli atti criminosi.
Lo Stato Italiano, per adeguarsi alla decisione della Corte di Giustizia dell’Aja del 2012, approvava la Legge n. 5 del 2013 con cui, in base all’art. 10 della nostra Costituzione, recepiva la citata Convenzione di New York del 2004 sull’immunità assoluta dei paesi stranieri rispetto alla nostra giurisdizione anche per le ipotesi in cui il paese straniero si fosse reso colpevole di crimini di guerra o contro l’umanità nei confronti del nostro paese e dei nostri cittadini.
Tuttavia, alcuni giudici italiani nel 2014 sollevavano la questione di legittimità costituzionale della Legge n. 5 del 2013, in quanto consentiva il recepimento nel nostro ordinamento giuridico del principio di immunità assoluta rispetto allo stato straniero, anche in presenza di gravi illeciti contro l’umanità in conflitto con i principi sanciti dalla Costituzione.
Al riguardo, la Corte Costituzionale con la Sentenza n. 238 del 2014 dichiarava incostituzionale la suddetta norma in quanto aveva introdotto nel nostro ordinamento giuridico il principio del difetto di giurisdizione dei nostri giudici nei confronti di paesi terzi (in ossequio alle previsioni della Convenzione internazionale), anche ove fossero compiuto crimini di guerra o contro l’umanità, ciò in conflitto con i diritti inviolabili della persona umana sanciti dalla nostra costituzione.
In base al descritto quadro normativo, ci dobbiamo interrogare sulla concreta possibilità per i cittadini italiani che, a causa della pandemia, hanno subito la perdita di congiunti, o anche per gli operatori economici che abbiano conseguito un grave pregiudizio, di esperire le azioni giudiziarie per il risarcimento dei danni contro la Cina o sue articolazioni istituzionali.
In base ai principi statuiti dalla Corte Costituzionale con la Sentenza n. 238/2014, il giudice interno potrebbe dichiarare la propria giurisdizione nel giudizio risarcitorio introdotto contro la Cina, se le omesse comunicazioni o altre responsabilità per diffusione della pandemia nel mondo siano riconducibili nell’ambito dei crimini contro l’umanità. In base alla nostra giurisprudenza, i crimini contro l’umanità sono le azioni criminali che riguardano violenze ed abusi contro i popoli o parte di popoli, o che comunque siano percepite, per la loro capacità di suscitare generale riprovazione, come perpetrate in danno dell’intera umanità.
Quindi, supponendo che il comportamento della Cina abbia determinato la diffusione del Covid -19 nel mondo e che ciò integri un crimine contro la l’umanità, i cittadini italiani colpiti da un lutto di un loro congiunto o gli operatori economici gravemente pregiudicati dalla pandemia in linea di principio potrebbero introdurre un’azione risarcitoria dinanzi al giudice italiano; quest’ultimo si troverebbe a dover scegliere se ritenersi competente a decidere la causa contro il paese straniero, in base al suddetto principio stabilito dalla nostra Corte Costituzionale, o invece declinare la propria giurisdizione in base ai richiamati principi internazionale sull’immunità assoluta degli stati rispetto ai giudici di altri paesi.
In ogni caso, ove il giudice italiano ritenesse la propria giurisdizione nel decidere la causa risarcitoria introdotta contro la Cina e all’esito pronunciasse una sentenza di condanna, si porrebbe il problema di come eseguire tale sentenza nei confronti del paese straniero, che ovviamente non riconoscerebbe come valida tale decisione quanto meno sulla base della richiamata convenzione di New York sull’immunità assoluta degli stati. In ogni caso, si potrebbe procedere contro i beni dello stato cinese disponibili sul territorio nazionale che non fossero destinati a funzioni istituzionali di governo.
Tuttavia, anche le consuetudini internazionali e, quindi, le convenzioni che le recepiscono possono nel tempo mutare, adeguandosi alla volontà degli stati; si deve, quindi, confidare in nuovi orientamenti giurisdizionali da parte degli organi di giustizia internazionale e degli stessi giudici all’interno dei singoli paesi che aderiscono all’ONU, che potrebbero riconoscere la propria giurisdizione in cause risarcitorie introdotte nei confronti dei paesi “stranieri” per la violazione dei diritti inviolabili della persona. L’auspicato nuovo orientamento nel tempo potrebbe modificare il vigente principio di immunità sovrana, quantomeno in presenza di crimini contro l’umanità, per non lasciare spazi di immunità in favore dei singoli stati che in violazione di convenzioni internazionali abbiamo compiuto gravi comportamenti in danno dell’umanità.
Tuttavia, qualora la dimensione delle azioni risarcitorie contro la Cina per il Covid -19 assumesse una rilevanza mondiale, e fossero accertate le responsabilità di quest’ultimo paese anche presso gli organismi di carattere internazionale, non può escludersi che le controversie giudiziali introdotte possano definirsi con accordi tra stati sul piano politico e diplomatico.
Roma, lì 5 maggio 2020
Avv. Donato D’Angelo
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